domenica 17 settembre 2017

Un nero lampo di luna

In quel mezzodì di luglio, il sole picchiava duro sulla sterrata mentre scendevo, alzando un nuvolone di polvere, verso casa. In lontananza il mare di un azzurro intenso, brillava immoto, la rada vegetazione dell’isola era già ingiallita, resistevano solo i cespugli di capperi, le viti e i fichi d’india. Fatta l’ultima curva m’apparve il tetto delle scuderie e al rombo del fuoristarada fece eco il forte nitrito di Fosca, la mia giumenta anglo-araba, a cui rispose una altro nitrito, più forte e più roco che non conoscevo ed ero certo non appartenesse a nessuno dei miei cavalli. Giù più in basso, dove si acquattava sornione il grande mulino di nera pietra, che era casa mia, di fianco ai pali dell’incannizzato un grande cavallo nero come una notte senza luna, puntava le piccole orecchie falcate nella mia direzione, accovacciata a terra, la schiena appoggiata al palo, un logoro cappello di paglia a nascondere il volto, stava una figura maschile. Non ebbi più alcun dubbio circa l’identità dei miei inaspettati visitatori, si trattava di Furia, l’anziana giumenta di “Agostino u fodde”, grande cavaliere e inveterato bevitore, che di tanto in tanto faceva irruzione al galoppo sfrenato nel piazzale delle scuderie, inscenava una sorta di carosello, e poi lanciando dietro di se una bottiglia vuota si dileguava tanto improvvisamente quanto era comparso. Quella volta c’era però qualcosa di diverso, sia la cavalcatura che il cavaliere avevano perso la loro consueta baldanza, parevano entrambi appannati, quasi si fossero arresi di fronte a un evento ineluttabile. Agostino non si mosse al mio arrivo, ma rivolse verso di me i suoi chiari acquosi occhi, come suo solito il volto solcato da profonde rughe era cosparso da una cespugliosa e rada barba grigia, ciocche di capelli grigiastri fuoriuscivano, quasi volessero fuggire altrove, dalle falde del consunto sombrero; una banda di colore e natura indefinibili gli cingeva il collo; la banda sorreggeva il braccio destro avvolto in una improvvisata fasciatura.
L’immagine diceva molto di più delle parole, del resto per me poco intellegibili dato l’eloquio in stretta lingua pantesca, di Agostino; dico lingua e non dialetto perché l’idioma era andato formandosi nel corso di lunghi e svariati influssi, dai Punici, ai Romani, agli Arabi, ai Normanni agli Aragonesi, ai Siciliani e anche in ultimo agli Italiani, ma questi per scontati motivi temporali ancora poco influenti!
Agostino s’era fatto male, e sapendo di non poter accudire la sua cavalcatura, aveva pensato a me “Quello dei cavalli”, per risolvere il suo problema. L’uomo non era nuovo a vistosi incidenti, ancora si narrava di quando una notte, rientrato, guarda caso brillo, pensò di mettere la “barda” a un giovane torello, che evidentemente non gradi molto il trattamento e mandò il suo improvvido cavaliere all’ospedale. Anche questa volta Agostino sarebbe finito all’ospedale, ce lo avrei portato io dopo aver sistemato la sospettosa Furia in un box libero, ma il motivo dell’incidente era di certo meno avventuroso, capii, infatti, che era semplicemente inciampato sull’uscio di casa rientrando a notte fonda nel suo abituale stato d’ebrezza.
Agostino mi diede una rapida lezione di come sellare l’ombrosa sua cavalcatura, infatti, al mio primo tentativo rischiai un funambolesco calcio portato da dietro verso l’avanti, il segreto stava nel non posizionarsi mai a poppavia del garrese!
Furia non era una cavalcatura per chiunque, abituata com’era al polso ferreo e al carattere intrepido del suo cavaliere, decisi quindi che l’avrei montata io per accompagnare i miei ospiti in passeggiata. Una delle mattine seguenti all’arrivo di Agostino, mi trovavo, con due altri cavalieri abbastanza esperti, sulla lunga sterrata di contrada Rukia, i mie accompagnatori erano d’accordo per un piccolo galoppo; non appena toccai con i talloni i fianchi di Furia, questa si lanciò in una lunga ed elastica falcata, ben diversa dal galoppino contenuto che sarebbe stato nelle mie intenzioni. Subito per prima cosa pensai che ero ben felice di non aver sostituito il severo morso dalle lunghe leve con un imboccatura più dolce, non avrei mai potuto fermarla! L’andatura era però piacevolissima, elastica confortevole e potente al medesimo momento, ad un certo punto l’anziana giumenta incespicò sullo sconnesso fondo della sterrata, e già mi vidi lanciato a pelle di leopardo a gratuggiarmi sul ruvido terreno, ma Furia, senza rallentare l’andatura si risollevò e riprese la sua corsa che a malincuore controllavo per rispetto ai miei ospiti. In quel primo galoppo non potei fare a meno d’immaginare le galoppate di Furia e Agostino nelle storiche corse che si disputavano attorno allo Specchio di Venere, e che erano seguite con passione e tifo sfegatato da tutta la popolazione. Non mi era difficile immaginare Agostino ben piantato sulla sua barda in iuta e senza staffe, leggermente chinato in avanti, le brigle corte mosse con ampi movimenti a incitare l’allungo della giumenta, galoppare in un nugolo di polvere tra schiamazzi, urla d’incitamento, frastuono di zoccoli, pesante afrore di effluvi equini e umani condurre Furia alla testa del gruppo e vincere di una buona lunghezza sul gruppo scatenato nella sua scia!

Passò quasi tutta l’estate e ormai m’ero abituato al carattere un ombroso rustico di Furia, che ben nutrita aveva arrotondato le sue forme spigolose, ora sfoggiava un mantello lucido con riflessi bluastri, e anche lei pareva si fosse abituata alla nuova vita e a un diverso cavaliere, perché ben inteso, non la feci mai montare a nessun altro. Di Agostino non avevo ricevuto notizie, pareva scomparso nel nulla, non andai mai a cercarlo, perché in realtà avere Furia non mi dispiaceva affatto, e quindi nel reciproco silenzio pensavo che le cose potessero restare così sospese; una notte di luna però fui svegliato da un forte nitrito, udii un veloce calpestio di zoccoli, quando uscii fuori feci appena in tempo a scorgere in un lampo di luna la nera groppa di Furia che saltando muri a secco galoppava verso Bukkurham, seppi allora che Agostino, l’ultimo ginnete di Pantelleria era tornato a casa!