giovedì 8 dicembre 2016

Una navigazione di ghiaccio!

Abituati alle temperate acque mediterranee, o a quelle calde dei mari tropicali ormai sempre più frequentemente solacate dai diportisti velici, ci si domanda perché navigare in quelle gelide e difficili artiche o antartiche.
Una risposta ce la dà il bel libro di Laura Canepuccia “ SVALBARD – A vela nell’arcilepelago di ghiaccio” per Nutrimenti mare.
Il libro, scritto con uno stile lineare e scorrevole che invoglia alla lettura, narra dell’esperienza di Laura imbrcatasi come hostes e marinaia su una grande barca che al comando di Ian colossale ed esperto comandante olandese, ha un programma di charter (principalmente sci alpinismo + vela estermi) ai margini della calotta artica.
Anche Laura ha origini veliche con lunghe navigazioni mediterranee e caraibiche, ma attraverso la sua difficile esperienza artica ci racconta delle emozioni uniche che solo una natura incontaminata, ostile all’uomo, ma proprio per questo ricca di grande fascini può trasmettere. Un accento particolare è messo sui rapporti umani sia con il proprio comandante che con i rari abitanti locali o gli avventurosi clienti dei charter, rapporti che in quelle condizioni divengono sempre essenziali e veri. Perchè solo in situazioni dove pochi e motivati possono giungere i rapporti e gli incontri possono tornare ad avere quella valenza di riconoscersi tra pari, un tempo comune a tutti gli “uccelli d’alto mare”; rapporti ora appiattiti e banalizzati dalla facilità e dal numero sempre crescenti di navigatori.
Con Laura alla serata di presentazione alla Lega Navale di Trento


Laura, che dice di voler assolutamente ritornare in quelle regioni, ha corredato il libro con foto in bianco e nero, retaggio della sua originale professione; una scelta perfettamente coerente allo spirito del viaggio, in cui la semplicità, l’essenzialità e la necessaria rinuncia a tutto il superfluo è elemento fondamentale.

lunedì 7 novembre 2016

Jack London, un precursore!





“La crociera dello Snark” può essere considerato a buon diritto uno dei primi racconti di mare, assieme a “Nei Mari del Sud” di R.L.Stevenson, e”Solo attorno al modo” di J. Slocum, in cui il motivo del viaggio sia il proprio piacere personale, quindi un viaggio a vela per “diporto”, ma lasciamo che sia il medesimo Jack London a raccontarci come ebbe inizio il suo viaggio a bordo dello Snark:

Tutto cominciò alla piscina di Glen Ellen. Tra una nuotata e l'altra avevamo l'abitudine d'uscire dall'acqua e sdraiarci sulla sabbia, lasciando che i nostri corpi si saturassero di aria calda e di sole.
Roscoe era uno yachtsman. Io ero andato un po' per mare. Era inevitabile che venissimo a parlare di barche. Parlammo di barche piccole e di come tengono il mare; ricordammo il capitano Slocum e il suo viaggio di tre anni attorno al mare con lo Spray.”
Jack London da La crociera dello Snark
Con questa chiacchierata tipica da gentiluomini svagati d'inizio del secolo scorso ebbe inizio l'avventura di London nei mari del Sud e più propriamente forse l'avventura dello Snark un ketch di quarantacinque piedi al galleggiamento (poco meno di quattordici metri) e di diciassette metri
di ponte, dotato di una meravigliosa prua a clipper, che sembrava nata per agguantare i marosi e dominarli.
La “
Gloriosa prua dello Snark” come soleva chiamarla Jack London, per rincuorarsi, nei momenti di sconforto durante la travagliata costruzione della barca; che prosciugò le sue sostanze poiché il preventivo iniziale di tremila dollari lievitò a ben trentamila, costringendo lo scrittore a produrre forsennatamente per far fronte ai creditori sempre più assillanti.
Già dalla partenza la braca diede segnali a dir poco inquietanti: appena varata s'arenò malamente,
il potente motore a benzina e il verricello meccanico a questo collegato andarono in rovinosa avaria nel tentativo di disincagliare la barca, e finirono a fare da zavorra, e dulcis in fundo quando erano pronti alla partenza lo
Snark fu pignorato per debiti.
London, da combattente qual era, non se ne diede convinto e racimolati i denari necessari riuscii a liberare la barca e a salpare da Oahkland nella baia di SanFrancisco, il 23 di Aprile del 1907, con destinazione della prima tappa Honolulu nelle Hawaii: facevano parte dell'equipaggio oltre a Jack la moglie Chariman, lo zio di lei Earmes, Roscoe secondo di bordo, e un cuoco e un marinaio presto rivelatesi inutili perché afflitti dal mal di mare.
Fin dai primi giorni di navigazione lo
Snark iniziò a rivelare i suoi innumerevoli difetti: faceva acqua sia dalla coperta che dal fasciame, tanto che spesso camminavano all'interno con l'acqua alle caviglie, le ferramenta, garantite per indistruttibili, iniziarono a rompersi come se fossero di cartone, il meraviglioso impianto del gabinetto marino, costato una fortuna e orgoglio dell'armatore, si rese immediatamente inservibile, ma la cosa che più amareggiò London fu che la “gloriosa prua dello Snark” si rifiutava di fare fronte al mare!
Durante una burrasca cercarono in tutte le maniere di mettere l'imbarcazione alla cappa, ma lo
Snark si ostinò a restare traversato al mare, fin tanto che London non decise di fuggire in poppa, e allora il bel ketch iniziò a correre sicuro senza nessuno al timone; e pensare che gli esperti yachtsman di San Francisco guardandone le linee avevano sentenziato “Questa barca potrà andare a tutte le andature, ma mai potrà correre con vento e mare in poppa...”!
La lettura di queste prime pagine del gustoso resoconto di Jack London è di sicuro motivo di riflessione e anche di consolazione pure per gli attuali yachtsman, si vede infatti che i guai e le preoccupazioni che assillano la categoria non sono di certo cosa nuova.
Alla partenza London, nonostante fosse già andato diverse volte per mare, era totalmente digiuno di navigazione, sia astronomica che stimata, e durante la travagliata costruzione dello Snack, invitò Roscoe a documentarsi ed apprendere gli arcani misteri della navigazione, lui aveva ben altro a cui pensare!
Fu cosi che Roscoe, assunse, nei primi tempi della navigazione, quasi a dimensione dei semidio,


Jack London e la Crociera dello Snark Luigi Ottogalli
essendo l'unico a poter dire, dopo un oscuro cerimoniale “Noi ora siamo qui!”, a Jack questo stato di cose non piacque, anche perché alcuni dubbi sulle posizioni dell'officiante iniziarono a venirgli; iniziò cosi a studiare la navigazione astronomica per proprio conto e in breve ne venne a capo, considerando che era cosa alla portata di qualsiasi persona dotata di un minimo d'intelligenza, anzi s'avvide che gran parte degli errori di posizione non erano tanto determinati dai calcoli fatti estrapolando le tavole a soluzione diretta, quanto nella perizia di maneggiare il sestante e portare correttamente l'astro a collimazione sull'incerto lontano orizzonte.
Sta di fatto che:
“Ventisette giorni dopo la partenza da San Francisco arrivammo nell'isola di Oahu, nell'arcipelago delle Hawaii. Nel primo mattino scivolammo pigramente attorno a Capo Diamond, finché non ci apparve in pieno Honolulu...”
Un atterraggio perfetto, degno di un navigatore sperimentato!

A Honolulu lo Snark verrà finalmente rimesso in sesto e farà poi rotta per le Marchesi, dove i coniugi London alloggeranno nella casa che fu di Stevenson; fu poi la volta di Bora Bora, le Samoa, le Figi, le nuove Ebridi. In questo modo London ripercorse da vero viaggiatore, il pacifico che fu di Melville e di Stevenson, e lasciò con i suoi scritti pagine indimenticabili vero viatico per i futuri viaggiatori del mare. Il viaggio di London e Chariman si concluderà a Sidney dove lo Snark verrà venduto per un decimo di quanto costò e London malato rientrò con un piroscafo a San Francisco.
I viaggi per mare di London non ebbero però termine con quello dello Snark, lui e la moglie s'imbarcarono nel 1912 a bordo del clipper a quattro alberi Dirigo sotto il comando del capitano Chapman, per un viaggio in cui doppiarono il Capo Horn durato cinque mesi, ma se per London questo fu un altro viaggio per diporto, non lo era per la nave su cui era imbarcato che aveva un fine prettamente commerciale, quindi ben diverso da quello dello Snark e non attinente al nostro argomento.
Personaggio complesso, cantore dell'avventura pura, fautore di un socialismo un poco snob e aristocratico, viaggiatore e vagabondo infaticabile, London rimase sempre fortemente legato al mare, come appunto lui stesso scrisse nel 1912 su Yachting Montly:
“Un uomo che ha frequentato la scuola del mare non la lascia più. Il sale s'impregna nel midollo osseo, nell'aria che respira e sentirà il richiamo del mare fino alla fine dei suoi giorni”.




venerdì 28 ottobre 2016

«Luigi, sto per affondare!»


Un breve racconto tratto da il libro:
edizione il Frangente - Settembre 2016

Un amico svizzero da poco conosciuto rischia l’affondamento nella darsena dello Yacht Club Argentino, ma riusciamo a portare la barca in un cantiere dove sarà riparata.

Erano passati solo pochi giorni dal nostro arrivo a Buenos Aires e già s’era consolidata la piacevole abitudine di un aperitivo serale nei locali del club con il mio nuovo amico André. Mentre lo attendevo comodamente sprofondato in una sontuosa poltrona rivestita in cuoio mi godevo il raffinato interno in stile old navy della club hause, domandandomi come mai l’amico non fosse puntuale come d’abitudine. La precisione era, infatti, una delle più spiccate caratteristiche d’André, un simpatico svizzero tedesco di una settantina d’anni che era arrivato a Buenos Aires da Usuhaia dopo aver compiuto più della metà del giro del mondo in solitario.
La grande figura d’André, resa ancora più imponente dalla candida capigliatura e dalla folta barba bianca che gli incorniciava il viso, comparve improvvisamente e, restando in piedi, disse nel suo italiano pesantemente alterato dall’accento svizzero-tedesco:
«Luigi, non possiamo prendere aperitivo, mia barca sta affondando!»
Il tono era lo stesso di chi avesse semplicemente detto: «Scusa il ritardo», o qualsiasi altra banalità di convenienza.
Non possedendo la sua flemma teutonica balzai prontamente in piedi e a passo di carica lo precedetti verso la sua barca, un pesante cutter in acciaio con lo scafo a spigolo, poco aggraziato, ma che emanava una sensazione di grande efficacia e che per il momento pareva galleggiare ancora egregiamente. All’interno la situazione era però differente, i palioli sollevati rivelavano la sentina allagata e una sorta di piccolo geyser zampillava quasi al centro della nera pozzanghera facendo ribollire l’acqua tutt’attorno.
Navigatore forse fin eccessivamente essenziale, André aveva solo 16
una potente pompa di sentina a mano, che per di più era situata nel locale wc poiché con una valvola a due vie assolveva bene, a suo dire, entrambe le funzioni!
Non vi era molto tempo da perdere in spiegazioni e lasciai l’amico alla sua pompa a mano per correre a bordo del Jonathan, da cui ritornai in pochi istanti munito di una pompa elettrica a immersione, che avevo a bordo come rispetto, e di due barattoli di stucco epossidico sottomarino, un vera e propria ruota di scorta per un imbarcazione.
La mia pompa elettrica e le vigorose pompate manuali d’André ridussero in breve tempo il livello dell’acqua in modo che fu possibile vedere con chiarezza il punto d’ingresso; lo zampillio giungeva da uno dei tanti bulloni che fissavano una flangia metallica che chiudeva il vano della pinna di deriva in cui era collocata la zavorra in lingotti di piombo. Con lo stucco epossidico sottomarino riuscimmo a ridurre l’entrata d’acqua a un sottile rivolo perfettamente controllabile, ora si trattava di migliorare la tenuta con successivi strati di stucco tenuti in pressione da una lastra metallica e da una serie di lingotti in piombo presi dalla zavorra della barca; finalmente più rilassati, era giunto il momento delle spiegazioni.
Così André mi raccontò che in una baia dei canali cileni aveva urtato con la pinna uno scoglio, ma grazie alla solidità della sua barca ne era uscito senza apparenti danni e in seguito aveva navigato nel canale di Beagle e risalito tutta la costa dell’Argentina senza vedere mai entrare neppure una goccia d’acqua. Solo ora si rendeva conto che nell’urto doveva essersi creata una falla e che l’acqua che era penetrata nel cavo del piano di deriva; era stata fino ad allora trattenuta solo dalla flangia imbullonata, pensata per l’unico scopo di tenere in posizione la zavorra e non certo per la tenuta stagna all’acqua di mare o, come nel presente caso, di fiume!
Era evidente che si rendeva necessario alare con urgenza la barca in secco per vedere il danno e ripararlo, purtroppo però non era una cosa tanto semplice, infatti in Argentina all’epoca era ancora vietato mettere a terra imbarcazioni con bandiera straniera e inoltre nell’area i club che avevano un travel-lift sufficientemente potente per alare una barca pesante come quella dell’amico André erano pochi. La vita dei club nautici di Buenos Aires era poi ulteriormente complicata dal fatto che, essendo appunto organizzazioni private e non cantieri o marine pubblici, per qualsiasi decisione appena fuori da quelle di consueta routine era necessaria l’autorizzazione del
Consiglio Direttivo del club stesso. Sembrava proprio che l’unica soluzione possibile fosse una navigazione di 170 miglia fino alla Marina di Piriapolis in Uruguay; per di più ci trovavamo all’inizio dell’inverno australe, con il rischio d’imbattersi in un fronte freddo antartico, non certo le migliori condizioni di navigazione per una barca buona ma ferita.
La sera, dopo cena, parlandone con Silvia, lei mi ricordò di Raul, un argentino che avevamo conosciuto in una sosta fatta a Piriapolis appena arrivammo sul Rio. Raul ricopriva un importante carica nell’amministrazione della capital federal e, sapute le mie origini in parte argentine e la nostra intenzione di navigare fino a Buenos Aires, s’era premurato di raccomandarsi di farci vivi quando fossimo arrivati, aggiungendo anche che di qualsiasi cosa avessimo avuto bisogno avremmo potuto rivolgerci a lui. In effetti già il giorno seguente il nostro arrivo allo Y.C.A. gli avevamo telefonato ed era venuto a pranzare, in questo caso nostro ospite,6 nel lussuoso ristorante del club e ci aveva anche procurato un ormeggio per un lungo periodo al Club Naval de Nuñez, dove avremmo dovuto spostarci pochi giorni dopo e dove in seguito avremmo fatto base per più di un anno.
La mattina seguente chiamai subito il potente amico e al pomeriggio la segreteria del club ci avvisò che il giorno dopo avremmo dovuto portare la barca alla base del club sul fiume Tigre, dove un travel-lift era pronto per metterla a terra!
In qualsiasi parte del mondo ci si trovi delle buone conoscenze aprono tutte le porte!
Una profonda depressione situata in Atlantico, diverse miglia al largo della foce del Rio de la Plata, avrebbe attratto per il giorno seguente un primo afflusso d’aria fredda da ovest in asse con l’andamento del Rio, proprio la perfetta direzione contraria al nostro obbligato senso di navigazione, avremmo dovuto compiere tutto il tragitto a motore, perché sul Rio bisogna navigare forzatamente all’interno dei canali dragati e sarebbe stato praticamente impossibile bordeggiare con le vele, ma non avevamo scelta, si doveva per forza andare.
Ricordo ancora quella navigazione come una delle più scomode mai fatte; al freddo vento da ovest s’erano aggiunti degli sferzanti piovaschi con la pioggia stirata orizzontalmente dal vento e la visibilità fortemente ridotta, ci alternavamo mezz’ora di timone e mezz’ora di pompa, perché con il movimento la riparazione di fortuna teneva sempre di meno e la pompa di sentina elettrica non riusciva a compensare l’afflusso d’acqua. Il timoniere doveva stare molto attento a evitare il traffico commerciale dei grandi cargo che percorrevano il rettilineo canale Emilio Mitre che collega il Rio Paranà al porto di Buenos Aires, non vi era neppure la possibilità d’uscire dalle boe del canale per facilitare gli incroci, perché al di fuori di queste la profondità del Rio era di poco più di un metro.
Con i forti venti da ovest aumenta anche l’intensità della corrente contraria e il Rio ha la tendenza a svuotarsi in Atlantico rendendo ancora più probabile il rischio di un incaglio, cosa che puntualmente avvenne quando avevamo percorso due terzi del tragitto e ci trovavamo in un canale laterale del Rio Parnà, il Canal Vinculation. Anche in questo caso André rimase imperturbabile e, mentre io reprimevo una serie di colorite imprecazioni che mi sorgevano prepotenti alle labbra, manovrò con calma sulla deriva già ferita fino a riuscire a disincagliarsi.
Sebbene la pioggia fosse finita e il vento ora ci soffiasse a favore, le ultime miglia furono quelle in cui restammo in maggiore apprensione: anche ai nostri occhi poco esperti osservando le sponde del canale era evidente che l’acqua continuava a scendere, unica consolazione, se anche ci fossimo nuovamente insabbiati di certo non avremmo mai potuto affondare in così poca acqua!
Alla fine sul calar del sole raggiungemmo la sede del club e, posizionata subito la barca tra le cinghie del travel-lift, André m’offri una cena ristoratrice.
Più tardi con un taxi ritornai a Buenos Aires e al club, dove ebbi una sorpresa: invece di salire a bordo del Jonathan, dovetti scendervi, infatti la darsena s’era quasi completamente svuotata d’acqua e la barca giaceva leggermente sbandata con la deriva completamente immersa nella molle fanghiglia del fondale del Rio de la Plata.

Una giornata faticosa ma emozionante e con la consapevolezza d’aver dato una giusta mano a un fratello navigante! 


venerdì 21 ottobre 2016

iL falso capitano di Safi













La sosta a Safi, sulla costa atlantica del Marocco non era stata programmata, l' intenzione era raggiungere rapidamente le Canarie, e per poi proseguire verso Mindelo, nell'arcipelago di Capo Verde, dove avevo dei charter prenotati.
Eravamo partiti il giorno precedente da Casablanca assieme al Thallasa, un piccolo cutter, con scafo in legno a fasciame, condotto da una simpatica coppia di ragazzi francesi incontrati nel porto della città marocchina; anche questa era stata una sosta fuori programma, ma non avevo saputo resistere alla tentazione di una visita ai luoghi di memorie Boogartiane…,di cui poi non rinvenni nessuna traccia, trovando solo un porto moto sporco, una città moderna anonima ed una Medina chiusa e ostile.
In quell'epoca le previsioni meteo erano alquanto imprecise, e ben presto ci trovammo di fronte ad una forte burrasca da sw che non prevista. Fu ben presto impossibile guadagnare strada di bolina, in particolare il Thallasa, investito dai pesanti colpi di mare, imbarcava molta acqua dai comenti della coperta, con il sopraggiungere della notte decidemmo quindi di prendere la cappa e di attendere tempi migliori.
Con la trinchetta da tempesta a collo, la randa di mezzana, terzarolata e cazzata a ferro e barra al centro, il Gaia 2 si dispose subito col mare al mascone, e parve rilassarsi assecondando ora le grandi onde che non frangevano più sulla sua prua ma scorrevano, quasi dolcemente, sotto la chiglia.
Al sopraggiungere di una livida alba ci trovammo di fronte ad uno scenario assolutamente sconfortante; spumeggianti treni di onde si susseguivano nella medesima direzione, il vento non accennava a calare, ed anche le previsioni captate da radio Casablanca, confermavano il perdurare delle condizioni di burrasca per le prossime dodici ore.
Il Thallasa, durante la notte, aveva mantenuto circa la medesima posizione rispetto a noi, all’orizzonte un cargo appariva e spariva nel cavo delle onde, il mare oceano non era deserto, ci sentivamo meno soli.
Dopo un breve consulto via radio vhf con gli amici francesi, fu presa la decisione più ragionevole; si poggiava e ci si andava ad infilare nel porto di Safi, che distava poco più di venti miglia sottovento.
Fu una saggia decisione, perché ci permise di effettuare uno scalo molto affascinante e anche di divenire inconsapevoli vittime di un innocente e simpatico raggiro.
Safi è sede di una numerosa flotta da pesca, ed è uno dei porti, di questo tipo, più grande, vivo ed animato che io abbia mai visitato; il bacino portuale è difeso da ovest a sud da una lunga scogliera il pietre calcaree, infilare in sicurezza la stretta imboccatura tra la scogliera e le alte falesie della costa, fu un operazione fatta non senza qualche brivido, perché l'ingresso era solo in parte ridossato dalle aggressive onde oceaniche sospinte da ventiquattro ore di burrasca. Appena giunti in acque più calme fummo accolti da alte banchine industriali, su cui giacevano agonizzanti e rugginosi macchinari, trovammo al fine pace affiancati a una banchina in cemento, meno irta di spunzoni e detriti ferrosi, posta all'inizio del canale che conduce al colorato bacino da pesca. Poco distante dal porto una cinta di sbrecciate mura in pietra calcarea, racchiude una città medioevale, percorsa da un intricatissimo dedalo di viuzze, con piccole piazze, caravanserragli, shuok, moschee ed una vivace popolazione apparentemente sempre indaffaratissima a muoversi di qua e di là ed a commerciare semplici e povere mercanzie d’ogni genere; questo però lo scoprimmo più tardi, solo dopo aver attraccato ed espletato, le pratiche d’ingresso, in Marocco complesse ed estenuanti.
L'approdo all'alto molo di cemento lo trovammo solo perché scorsi una figura che si sbracciava animatamente indicandoci d’accostare, altrimenti saremmo inevitabilmente penetrati nel vietatissimi porto peschereccio.
L’uomo della provvidenza, che indossava una sdrucita uniforme blu con bottoni d’ottone e un copricapo a visiera rigida, ci aiutò solertemente nell’ormeggio, e non prima d’averci avvertito delle forti escursioni marea, si presentò:
Je suis Amid, le Captain du Port, bien arrivé a Safi…, s'il vous plait donné moi votre papier pour le formalité”
Restammo tutti un poco stupiti dalla prassi abbastanza inusuale, e con Jan (lo skipper di Thallasa) scendemmo a terra dicendo al “Capitano che se gentilmente c’indicava dove si trovassero i vari uffici avremmo provveduto personalmente.
Una breve discussione, punteggiata da vivaci espressioni d’amicizia e disponibilità da parte del “Capitano, portò alla conclusione che potevamo consegnargli i documenti e seguirlo nei vari uffici.
Iniziò cosi’ un tortuoso giro tra i vari edifici che sorgevano tutti nelle vicinanze della banchina cui il Gaia 2 e il Thallasa erano ora ormeggiati. Davanti alla porta d’ogni ufficio, il “Capitano”, con un imperioso “Attendé ici” spariva all’interno armato di tutti i nostri documenti, per uscirne da lì a poco, con qualche altra scartoffia in mano e la richiesta di una modesta somma di danaro “pour le tampon”, dopo circa un’ora e svariati: “pour le tampon” rientrammo esausti alle nostre barche.
Ero stanchissimo e non vedevo l’ora di buttarmi in cuccetta, ma mi senti in obbligo d’invitare a bordo Il “Capitanoche sì scherni assicurandoci che sarebbe venuto ben volentieri la sera, ora potevamo stare tranquilli, tutte le formalità erano risolte, e per sua particolare regalia, avremmo potuto attingere gratuitamente alla manichetta dell’acqua (che naturalmente era lontanissima dal nostro ormeggio), ed unica cosa, prima di recarci in città avremmo dovuto portare i passaporti alla polizia, che si trovava giusto all’uscita del recinto del porto.
All’ufficio di polizia, furono estremamente cortesi, ed insolitamente rapidi, salutandoci sulla porta, il sottufficiale ci raccomandò di attingere liberamente alle manichette dell’acqua, a Safi, l’acqua era per tutti gratuita!
Stavo per obiettargli che poc’anzi anche il “le Capitan du port…”, ma Jan, strattonandomi con decisione, e salutando cerimoniosamente il sottufficiale, mi condusse fuori dell’ufficio, prima che potessi completare la frase.
Al nostro rientro dal primo giro ricognitivo nella vecchia Medina, trovammo Amid che ci attendeva sulla banchina, aveva in mano una vecchia sporta della spesa in vimini intrecciati, con i manici legati ad una sagoletta, c’invitò da avvicinarci ed ad osservare: raccolse da terra una pietra e la depose all’interno della sporta, poi calò il tutto in mare, nell’interstizio tra
la murata della nostra barca e la banchina, dopo un breve intervallo di tempo, tirando sulla sagoletta recuperò la sporta di vimini, che era ricolma di una grande quantità di gamberetti!
Ci ritirammo tutti nell’accogliente quadrato del Gaia 2, e mentre le ragazze s’occupavano dei gamberetti, Amid iniziò una sistematica esplorazione del bar di bordo, che era ampiamente rifornito con rimasugli di alcolici di svariate origini. In breve, senza metodo, Amid si scolò Bitter Campari, Raki turchi, Rum Antillesi, Jerez Andalusi, e quant’altro andava trovando!
Quando alla fine della serata, Amid ci lasciò, portandosi sottobraccio le ultime bottiglie di superalcolici rimaste, il nostro bar del era completamente prosciugato, ed anche noi, costretti per dovere d’ospitalità ad assaggiare ogni liquido alcolico, eravamo piuttosto alticci.
L’indomani mattina, decisi di recarmi in Capitaneria per vedere le ultime informazioni meteorologiche, sicuro d’essere ben introdotto, data la mia recente ed alcolica amicizia con “le Captaine”; giunto di fronte ad una porta su cui campeggiava, in lucide lettere d’ottone, la scritta “Captain du Port”, bussai e ed entrai deciso senza attendere la risposta.
Con mia gran sorpresa, dietro ad un’ampia scrivania, dove pensavo di trovare l’amico Amid, sedeva un distinto signore dai capelli brizzolati e dall’impeccabile uniforme blu adorna di lucidi bottoni dorati….farfugliai delle confuse scuse per il mio poco ortodosso ingresso e chiesi se cortesemente potevo avere l'ultimo bollettino meteorologico.
Mentre rientravo in barca, con in mano la stampata del meteo fax, consegnatami da un subalterno del Capitano del Porto, scorsi una minuscola e un poco curva figura in blu sdrucito, che saliva la scala metallica della torretta del faro del porto.
Il brutto tempo perdurò ancora per alcuni giorni, per tutto il periodo in cui restammo ancora a Safi, non incontrai più Amid, che venni a sapere essere solo il guardiano del faro!











lunedì 17 ottobre 2016

Il Tapicero di Cartagena de Indias





Alcuni anni fa mi trovavo da diversi mesi nell'affascinante città coloniale di Cartagena de Indias, in Colombia; poiché la mia vita si svolgeva principalmente nei quartieri residenziali attorno al porto o nel caratteristico Barrio di Getsemani, ero giunto a considerare Cartagena una città perfettamente sicura, ma dovetti ricredermi, come si vede da questo breve aneddoto.

Il Jonathan aveva bisogno di una nuova capottina, così ne ordinai una a un tapicero1 consigliatomi da un amico. L’artigiano si presentò molto bene: aspetto curato, quasi elegante, gentile ed educato mi fece un buon prezzo e mi lasciò un biglietto da visita con ben indicato l’indirizzo del suo tailler2.
Solo che il tempo trascorreva inesorabile e del tapicero non se ne vedeva più traccia, anche al telefono non rispondeva mai, decisi così di recarmi da lui per recuperare l’acconto e la capottina vecchia che gli avevo dato come modello.
Chiamai Eduardo, il mio tassista di riferimento e ormai un amico, che si presentò puntuale con la sua impeccabile auto gialla, molto differente dal comune standard dei taxi di Cartagena. Eduardo, ex pescatore di camarones3 sui banchi che contornano il famigerato Cabo del la Vela; era un uomo alto, bruno, sulla quarantina, che sembrava tagliato con l’accetta e trasmetteva una sensazione di rude sicurezza.
Si dimostrò subito entusiasta d’andare a recuperare l'acconto dal tapicero, lesse l’indirizzo sul biglietto e senza nessun commento s’avviò. Attraversammo un quartiere con case basse circondate da verdi giardini e un aspetto relativamente curato, pensai che se il tapicero aveva il suo laboratorio in un quartiere così non sarebbe stato difficile trovarlo, del resto il suo aspetto e portamento erano in linea con l’ambiente piccolo borghese che il taxi di Eduardo attraversava.
L'impressione favorevole però durò poco, appena scavallammo uno dei ponti che collegano la parte isolana della città a quella sulla terra ferma e ci dirigemmo verso il Cerro la Popa, l’ambiente cambiò scivolando sempre di più verso un quartiere povero abbastanza degradato, ma tuttavia ancora con dignitose case in muratura.
Giunti a un crocicchio Eduardo si fermò per chiedere un informazione a un gruppo di signore che ciarlavano fuori da una lavanderia; nonostante normalmente capisca molto bene lo spagnolo, in quel caso non compresi nulla, fu Eduardo a chiarirmi che le gentili signore gli chiesero che buone ragioni avessimo per recarci a quell’indirizzo; la cosa non mi turbò molto e proseguimmo il cammino.
A metà di una stretta strada in salita, Eduardo s’arrestò ancora per chiedere a un gruppo d’anziani che chiacchieravano scacciando l’ozio seduti direttamente sul marciapiede; in questo caso l’avvertimento, che compresi senza traduzione fu più preciso:
« Attenti, in quel posto prima sparano poi vi derubano!».
Eduardo perplesso mi chiese cosa doveva fare, gli dissi che potevamo avvicinarci e vedere che aria tirasse; la strada ora s’arrampicava sempre di più sulle pendici del Cerro de Popa, tra basse casupole in cui il legno e la lamiera s’imponevano sempre di più sulla murature e le tegole.
Poco dopo scorsi un furgone verde e bianco della polizia carico d’agenti:
« Eduardo, se ci sono loro possiamo andare tranquilli...»
« Vedrai che più in su non andranno e anche qui non resteranno a lungo» disse lui.
Aveva ragione, vidi negli specchietti che il furgone della polizia s’era avviato verso il basso.
Arrivammo, al fine, a una stradella sterrata che s’inerpicava ancora più in salita tra delle misere baracche il legno:
« Cosa vuoi che facciamo?» chiese Eduardo fermandosi all’angolo della stradella
« Proviamo a salire» risposi non nascondendo una nota d’esitazione.
Il tassi si rimise in moto e con circospezione svoltò a destra nella stradella sterrata, avevamo fatto solo pochi metri che da una baracca uscirono tre figuri che presero ad avanzare a semicerchio verso di noi.
Eduardo non ebbe un attimo d’esitazione, ingranò la retromarcia e a tutto gas uscii nella strada più larga, dove con una sgommata e un accelerazione degna di un poliziesco americano partii allontanandosi dal barrio pericoloso!
Potevo tranquillamente scordare acconto e capottina, ma forse avevo salvato la pelle!


1Tappezziere
2Laboratorio


3Gamberi

domenica 16 ottobre 2016

Dilemma, pagina di Facebook o blog?




Nel dubbio se sia più funzionale una pagina di Facebook o un Blog, ho deciso che il meglio era averli entrambi, quindi ho affiancato alla pagina da poco aperta “Storie di mare e altro...” questo nuovo Blog, che ha nome identico e fine simile.

La pagina di Facebook (da non confondersi con il profilo personale ) ha l’indubbio vantaggio dell’immediatezza e la possibilità di raggiungere direttamente i propri “Fans” (quanto poco mi piace questo termine!) e facilita molto l’interazione con il “Like” e lo scambio di commenti in tempo reale; inoltre è relativamente semplice da aprire e gestire.
Per contro ha una piattaforma molto rigida, non è possibile, infatti, modificare l’impaginazione, impossibile inserire multi link ad altre pagine o siti, infine dipende interamente dai “capricci” di Facebook che può in qualsiasi momento cambiare i termini o chiudere un profilo o una pagina (mi è successo con il profilo personale, e ora per sicurezza ne ho due!)

Il Blog personale permette invece:
- Una grande libertà d’impaginazione , quindi d’espressività.
- Si possono inserire infiniti link che sono l’anima della comunicazione sul web.
- Il pubblico raggiungibile è potenzialmente maggiore, infatti, su Facebook per accedere ai contenuti bisogna essere registrati sulla sua piattaforma, i blog, inoltre sono meglio indicizzati da Google.
- Su Facebook è provato che la gente legge poco e rapidamente, è una comunicazione immediata basata principalmente sull’immagine, sui blog gli utenti sono più propensi alla lettura approfondita.
- Le pagine di Facebook non possiedono un sistema d’archiviazione e ricerca rapida dei contenuti, invece presenti su tutti i Blog, quindi i contenuti sono permanenti nel tempo.
- È molto facile promuovere un blog sui diversi Social, mentre è più difficile il contrario.

Queste sono le motivazioni principali che mi hanno spinto ad aprire questo nuovo Blog, nonostante la gestione di un sia più impegnativa rispetto alla pagina di Facebook.
Storie e racconti s’affidano alla parola scritta un blog è quindi la piattaforma ideale!

L’altro mio Blog “ I Viaggi del Jonathan, continuerà ad esistere e vi pubblicherò relazioni e impressioni dei viaggi fatti; attualmente è in corso la pubblicazione a tappe del Portolano delle coste del Sud America.

Storie di Mare e altro” è un Blog giovane bisogna aiutarlo a crescere, la pubblicazione di racconti è aperta a tutti, previa l’approvazione dell’Amministratore.




Grazie a tutti dell’attenzione.

sabato 15 ottobre 2016

STO LAVORANDO!

Mi rivolgo all'eventuale avventuroso internauta che approdando a questo Blog avrà la sorpresa di trovarlo totalmente privo di contenuti!
Questi arriveranno, per il momento si può visitare l'analoga pagina di Facebook o uno dei due link nelle foto a lato.
Grazie  e scusatemi!